Sulle imprese del leggendario Gianavello oramai si sono versati litri di inchiostro , ma mi è parso un doveroso omaggio verso Rorà , nochè gli amici valdesi che possono vantarsi di aver avuto tra i loro fratelli un sì valoroso piemontese.
Rorà come d'altronde molti paesi delle vallate delle Alpi Cozie , seppe conservarsi puro dai pregiudizi e dalle tradizioni pagane introdottesi nella Chiesa Romana fin dal secolo quinto dell'era Cristiana, essa ebbe parte attiva nelle guerre che i Valdesi, abitanti nelle valli di Luserna e San Martino, dovettero combattere nei secoli 15', 16', M e 18' contro i loro nemici religiosi, cioè i Cristiani appartenenti alla Chiesa Romana, sotto il governo dei Papi.
Nel febbraio 1560 il Conte della Trinità avendo spedito all'assalto di Rorà parte del suo esercito per aprirsi un varco sul Villar fu obbligato a retrocedere per la resistenza dei Rorenghi e solamente al terzo giorno di combattimento riuscì nel proprio intento impiegando l'intiero suo esercito.
Nell'estate del 1603 il capitano Gallina colla sua compagnia s'avviò una mattina verso i monti di Rorà forse per rifornirsi di bestiame, ma data l'allarme si vide venire incontro tanta gente che in fretta se ne tornò a Luserna e fece bene.
Questo popolo si mostrò prudente e di fermi propositi verso la fine di gennaio 1629, allorchè i frati mandati dal Papa, allo scopo di convertirlo al Papismo, protetti come furono dal principe di Piemonte: Carlo Emanuele 11, si resero cotanto odiosi pella loro intolleranza religiosa e pei numerosi rapimenti di fanciulli protestanti, che decise di liberarsene ad ogni costo. 1 Valdesi si riunirono in armi attomo alla loro abitazione che la tradizione pone nella regione di San Nicolao, detto Prato la Chiesa ed anche a Roccas, onde impor loro lo sfratto, ma essi rifiutarono d'uscire, e siccome era vietato agli uomini di mettere le mani sopra i frati, sotto pene severissime, le donne li accostarono ed alcune di queste robuste alpigiane, abituate al trasporto di pesanti carichi, posero sulle loro spalle, a guisa di fasci di legna, questi uomini di chiesa, che si lasciarono portare fuori del comune di Rorà, ove esse trasportarono pure gratuitamente le loro cappe, reliquie, bagaglio e mobilio.
Carlo Emanuele Il, benchè principe clemente e buono ed omato d'un nobile carattere si lasciò guidare dai suoi cortigiani che appartenevano al Consiglio dellapropaganda fide et extirpandis haerecticis. Questo gesuitico consiglio, ispirato ai voleri del Papa, concertò il massacro generale dei Valdesi nel giorno di Pasqua, 24 aprile 1655. Essi spedirono in tutti i comuni della valle di Lusema numerose truppe, dimenticando però il comune di Rorà, ma esso non sfuggì alla strage.
Il giorno stabilito il marchese di San Damiano spedi dal comune di Villar un battaglione di cinque o seicento uomini onde sorprendere questa popolazione di montanari, sotto la condotta del Conte Cristoforo di
Luserna, conte di Rorà. Il capitano Giosuè Gianavello delle vigne di Luserna, informato della mossa dei soldati che salivano pel monte Bruard, sali egli pure da un sentiero opposto e raccolse sul suo passaggio sei uomini, decisi come lui e andò postarsi vantaggiosamente sul loro passaggio, aspettandoli dietro roccie, allo sbocco d'una stretta gola, ove essi dovevano forzatamente passare. Appena le truppe furono arrivate pella disagevole gola, Gianavello ed i suoi scaricano le loro armi, emettendo tutti insieme un forte grido; sei soldati cadono, gli altri retrocedono e coloro che li seguitano, credendo ad una imboscata molto più numerosa, fanno volta faccia. 1 Valdesi moltiplicano i loro colpi e mettono in fuga l'avanti guardia al pari dell'intiero battaglione, che si ritira e fugge davanti a sette uomini.
Il giomo seguente un altro battaglione è spedito contro Rorà pel monte Cassulero. Questa volta Gianavello aveva diciasette uomini con lui, dei quali dodici armati da capo a piedi e sei non avevano che delle frombole, perchè non erano ancora capaci di
servirsi di fucili. Esso li dispose in tre bande di sei uomini caduna, cioè quattro moschettieri e due frombolatori.
Il sito da lui scelto era ancora un'altra gola, dieci uomini appena vi potevano manovrare, egli ne aveva quasi il doppio ed era collocato vantaggiosamente. Quando il battaglione del marchese di Pianezza si trovò profondamente inoltrato nella gola, i Valdesi che li aspettavano al varco si smascherarono, un ufficiale e dieci uomini cadono sotto la prima scarica, una grandine di pietre fischia nelle file nemiche e vi mette il disordine.
La confusione e lo stordimento invasero questa grande moltitudine d'assalitori, che si dà alla fuga lasciando 65 morti sul posto senza contare i feriti e i cadaveri esportati. Vedendo i loro nemici ritirarsi, i Valdesi vogliono inseguirli. Gianavello li ferma. "Meglio di ciò, disse loro: bisogna annientarlP e oltrepassando di nascosto la fronte dei fuggiaschi, corre ad aspettarli coi suoi invincibili moschettieri in uno stretto passaggio detto Pierro cappello, dove giunge il nemico che è ricevuto con una nuova scarica. 1 Valdesi fanno quindi rotolare sui nemici degli squarci di roccia e si precipitano sovr'essi, raddoppiano il loro spavento, il loro disordine e le loro perdite, non potendo essi fuggire a volontà, per causa degli ostacoli infiniti, si precipitano a capo fitto e a corpo perso dalle roccie nei burroni e nel torrente Luserna, ove molti trovano la morte. Il Conte Mario stesso venne a stento ritirato dal ristagno detto: tompi Gratin, ove rischiò di annegare, fu condotto a Luserna senza abiti, senza cappello e senza scarpe e vi morì pochi giorni dopo. Nei primi di maggio 1655 il marchese di Pianezza mandò diecímila uomini contro Rorà, di cui tremila mossero da Bagnolo, tremila dal Villar e quattromila da Luserna. Il corpo venuto dal Villar apparve il primo, Gianavello respinge il suo assalto, ma mentre combatteva i due altri corpi invasero la vallata, saccheggiando il villaggio e bruciando le case non arse il 27 aprile, trucidando parte della popolazione, commettendo oltraggi orribili e conducendo prigionieri gli sventurati che non erano periti nella strage, fra cui la moglie e le figlie di Gianavello. Egli non aveva più niente da difendere; Rorà era distrutto, i suoi abitanti uccisi o prigionieri e si decise a ritirarsi colla sua eroica coorte nella valle del Pellice. L'indomani il Marchese di Pianezza scrisse al capitano Gianavello per informarlo che la sua moglie e le sue figlie erano
nelle di lui mani e lo esortava ad abiurare la propria religione se voleva salvarle.Ecco la risposta fatta dall'intrepido e pio capitano: "Non vi è tormento cotanto crudele ch'io rifugga come l'abjurazione della mia fede e le vostre minaccie lungi dal distogliermene mi vi fortificano vie maggiormente. In quanto a mia moglie e a mie figlie esse sanno se mi sono care! Ma Dio solo è padrone della loro vita e se fate perire il loro corpo, Dio salverà le loro anime. Possa Egli ricevere nella sua grazia queste amate anime, come pure la mia, se avviene che io abbia a cadere nelle vostre mani". Dopo parecchi anni di combattimento Gianavello si ritirò a Ginevra, ove dettò, nella sua vecchiaia, il piano strategico del glorioso rimpatrio dei Valdesi nelle loro valli dalla vicina Svizzera, nella quale avevano ricevuto fraterna ospitalità. Questo piano fu osservato punto per punto nell'agosto 1689, epoca in cui i Valdesi rientrarono armata mano nelle loro terre. A perpetuare la memoria di questo capitano, la commissíone di censimento diede il suo nome alla via secondaria che, diramandosi da quella príncipale Duca Vittorio Amedeo II, tende verso i Banditi, ossia verso l'abitazione del Gianavello, che aveva la propria casa sul versante di questa montagna.