Il nostro calcio e la nostra nazionale. Rivivrà lo "Spirito di Higbury"?
Il 2006 verrà ricordato come l’anno più triste del nostro football. Dispiace sottolinearlo ancora una volta. Soprattutto prima di conoscere quale sarà l’esito della partecipazione della nostra Nazionale all’evento più atteso. Ma qualunque sarà il risultato sportivo, appare indubbio come le tristi vicende di questi giorni abbiano lasciato un infinito senso d'amarezza nell’animo dei tifosi. Risulta poi singolare come vi siano situazioni che nella storia s'intreccino. Magari appaiono lontane. Apparentemente inconciliabili. Però, a guardare bene, in modo beffardo, ci consegnano la Verità. Nella prossima stagione lo splendido stadio londinese di "Higbury" cederà il passo ai tempi che cambiano. Il nuovo impianto di Ashburton Grove si chiamerà "Emirates Stadium". Superflua la traduzione. Inutile spiegare come la scelta sia vincolata alla logica del profitto. E così la tradizione lascia posto, ancora una volta, al "Dio Denaro". Sparisce "Higbury" dal cuore e dagli occhi dei veri sportivi. E con esso sembra essersi perduto in modo irrimediabile lo spirito del nostro calcio. Che li, non a caso, giocò una delle partite più prestigiose di tutti i tempi. Probabilmente la più memorabile della prima metà del Ventesimo Secolo. Era il 14 novembre del 1934. Un mercoledì. A fronteggiarsi due formidabili formazioni. Da una parte l’Italia fresca detentrice del titolo mondiale. Dall’altra i nobili maestri inglesi, sprezzanti nel loro isolamento. In quegli anni, infatti, non partecipavano alla massima competizione calcistica per nazioni. Lanciarono però il guanto di sfida ai Campioni per dimostrare al Mondo la loro superiorità. Fu un match epico. Venne definita "L’Epopea di "Higbury". La squadra italiana era per nove/undicesimi la medesima che sconfisse la Cecoslovacchia nella celebre finale di Roma. Dopo soli dodici minuti di giuoco il tabellino segnava tre reti a zero per i Bianchi della Regina. La più umiliante delle lezioni sembrava impartita. Il celebre difensore centrale lo juventino Luisito Monti aveva subito nei primissimi minuti la frattura dell’alluce, costretto ad uscire tra dolori lancinanti. In dieci contro undici (all’epoca non esistevano le sostituzioni) tutto pareva perduto. L’incredibile orgoglio dei nostri trasformò l’incontro in un'autentica battaglia. Traiamo questa preziosa cronaca dal secondo volume dell’enciclopedia "Gli Sport" di Stefano Jacomuzzi, edita UTET (anni 60): <<Nella nebbia che stagnava sul campo si videro le maglie azzurre gettarsi all’arrembaggio. Segnarono ben due volte con il meraviglioso Meazza. Fecero argine alle sfuriate avversarie e sfiorarono il pareggio. Ceresoli parò anche un calcio di rigore. Al centro della mediana, a sostituire il "compagno caduto", Ferraris IV. Con la foga degli antichi uomini della Pro Vercelli si prodigò alla morte. Il pubblico rimase stupito. Poi ammirato. E Ferraris IV fu soprannominato "Il Leone di Higbury".>> Quella sconfitta di misura, più di ogni altra vittoria, ci proiettò definitivamente nell’Olimpo del Football. L’Italia poi, con un equipe quasi completamente rinnovata, conquistò nuovamente il mondiale del 1938. A Parigi contro l’Ungheria. Un eroe di quella trionfale impresa, il bolognese Amedeo Biavati, alla vigilia del torneo mondiale del 1954, dichiarerà con pervasa malinconia al giornalista Alfeo Biagi di "Stadio": <<Noi, quelli della mia generazione calcistica, non abbiamo avuto fortuna. Abbiamo seminato in profondità poi sono venuti gli altri. I giocatori di adesso… Siamo stati noi a fare grande il calcio italiano. E non ci rimangono che i ricordi, le gioie, gli applausi di quelle folle che abbiamo trascinato, sempre più fitte, sempre più entusiaste dentro gli stadi. Noi abbiamo seminato, loro hanno raccolto. Non c’è risentimento in queste mie parole. Vi è la speranza che i ragazzi di adesso capiscano la fortuna di avere vent’anni oggi. L’auspicio che sappiano essere degni del privilegio di indossare la maglia azzurra al Campionato del Mondo. Se sapranno raccogliere l’eredità di gloria (che pare una parola grossa, ma sono sicuro che i miei compagni d’allora capiranno) allora saremo i primi a stringerci attorno a loro. I primi a battere le mani sulle spalle dicendogli con gli occhi lucidi, che il più bel giorno della vita può tornare. Ed è anche vera la gioia ed il trionfo degli altri>>. Questi sentimenti e verità, espresse ormai cinquant’anni or sono, paiono d'attualità come non mai. Non solo per i calciatori. Ma anche per i dirigenti e i proprietari delle nostre squadre più amate. Che un poco di Storia avrebbero il dovere di conoscerla. Per comprendere i valori positivi che ci tramanda. E la lezione che se ne trae. Seguendola nei fatti. Non solo nelle parole o nelle intenzioni. Se si tagliano i legami con le radici dello sport se ne perde l’essenza. Per favore fate rivivere lo "Spirito di Higbury"! Prima che si dissolva. Per sempre.
Federico Rabbia